Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 24 maggio 2025


Priorità assoluta / 1

 


Riprendiamo da un pregevole sito.


Questo intervento si riferisce in prima istanza alla situazione presente della Chiesa, ma intende andare al cuore della vita cristiana. Il vero cristiano ha bisogno di una cosa soltanto: ha bisogno della preghiera (1); ne ha bisogno come dell’aria che respira. Il vero cristiano trova la propria delizia solo nella parola dell’Amato. A tal fine si impone una scelta perentoria: la scelta tra la voce di Cristo e le voci del mondo. Questo pensiero non nasce da una visione intimistica e solipsistica della vita cristiana, bensì dalle acquisizioni della tradizione spirituale più antica, le quali, nel corso dei secoli, sono state ulteriormente confermate e approfondite, ma mai smentite.

Un’impellente necessità

La prima urgenza, per ogni cristiano, è quella di rientrare in se stesso, come fece Sant’Agostino quando, sollecitato dalla grazia, si ritirò nella propria interiorità e lì trovò il Signore. Tutta la sua lunga e tormentata ricerca alla fine sfociò in un’esperienza straordinaria: scoprì la presenza di Gesù come di una Persona viva che lo interpellava e che voleva venire ad abitare nel suo cuore. Chi vive in questa dimensione non ha più nulla da temere e non si preoccupa nemmeno di sapere se il Papa è buono o cattivo, oppure se la persona che ricopre questo incarico è adeguata o inadeguata. Chi vive in questa dimensione sa di avere un baricentro che nessuno potrà mai togliergli e che non potrà mai perdere, se non per propria colpa.

Ovviamente è necessario che il cristiano lavori su se stesso per arrivare a vivere costantemente alla presenza di Cristo, nell’intimità con Lui. È necessario un lavoro di purificazione del cuore e, a cascata, di tutto ciò che esce dal cuore: pensieri, sentimenti, parole e azioni. Questo lavoro, per quanto penoso, porta l’anima ad uno stato di purezza che la trasforma profondamente, rendendola permeabile alla grazia e trasparente alla luce di Dio. Tale stato di purezza conduce poi l’anima alla quiete, ossia ad uno stato di santa indifferenza rispetto alle situazioni contingenti. Non è, questa, un’espressione di egoismo, bensì la condizione di chi si è collocato al di sopra delle vicissitudini del mondo, poiché il suo cuore – come dice la colletta della IV Domenica dopo Pasqua – è fisso là dove sono le vere gioie.

La quiete è uno stato ampiamente descritto dai Padri del deserto come uno stato non solo di assenza di turbamento, ma anche di presenza a Dio. Questa presenza a Dio spinge ulteriormente l’anima a umiliarsi, a riconoscere il proprio nulla, a piangere i propri peccati; paradossalmente, però, più l’anima si umilia, più la grazia la riempie. È così che l’anima diventa abitacolo di Dio; secondo il termine usato nella tradizione antica, si deifica, ossia si assimila al suo Creatore. È possibile percepire sensibilmente questa presenza di Dio nel cuore, anche se non a tutti, e non sempre, è concesso. Questa esperienza, tuttavia, ci garantisce che si tratta di qualcosa di reale, non di una teoria né di una fantasia. L’anima in stato di grazia che è arrivata ad essere dimora di Dio è continuamente sostenuta dalla Sua presenza, dalla Sua grazia, dalla Sua misericordia; è continuamente guidata dalla Sua luce, dalla Sua verità, dalla Sua sapienza; è continuamente rafforzata dalla grazia santificante e da abbondanti grazie attuali.

L’anima nella Chiesa

Quest’anima, in qualunque situazione si trovi concretamente nella vita, è comunque serena e, al tempo stesso, è piena di compassione per i suoi simili che non godono di questo stato privilegiato, desiderando che anch’essi lo scoprano. Per questo si adopera ad aiutare gli altri ad avvicinarsi a Dio, a purificare il cuore, a raggiungere la quiete, a umiliarsi e a diventare abitacolo di Dio. È certamente importante avere buoni Pastori ma, se non ne abbiamo, ciò non ci può assolutamente impedire di operare in questo senso per raggiungere quella condizione.

Anche qui dobbiamo sottolineare – come già abbiamo fatto rispetto a una visione intimistica del Cristianesimo, che non è la nostra – che non proponiamo un Cristianesimo senza gerarchia, senza mediazioni ecclesiali, senza riferimento a coloro che hanno il compito di guidare gli altri. No, non intendiamo questo; vogliamo bensì rendere evidente che l’assenza o scarsità di buoni Pastori non può impedire a un’anima ben decisa a seguire il Signore di crescere nell’unione con Lui. La mediazione è sicuramente importante: i Pastori, con a capo il Papa, hanno il compito di confermarci nella fede, di orientare le nostre scelte secondo la verità di Cristo, di farci crescere nella santità. Se però, nella situazione contingente in cui ci troviamo, questo non è fatto o è fatto troppo poco, abbiamo comunque un patrimonio inestimabile a cui attingere: c’è una storia di venti secoli; ci sono innumerevoli Santi, fra cui papi, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose; c’è un patrimonio immenso a cui attingere: dobbiamo pertanto avere questa cattolicità spirituale che allarga il nostro sguardo a tutto il deposito che ci è stato consegnato, senza fermarci al momento presente né fissare lo sguardo sulla situazione contingente.

Troppi cattolici fanno del Papa un idolo, come se la loro vita cristiana fosse fondata su di lui anziché su Cristo. Senza nulla togliere all’importanza del Papa, non dimentichiamo che egli è soltanto il Vicario di Cristo. La sua mediazione è necessaria, ma la mediazione non è il fine: la mediazione è un mezzo. Il fine rimane Gesù Cristo, il quale è Mediatore tra Dio e noi nella Sua santa umanità. Anche la Sua umanità è strumento, è via da percorrere; il punto d’arrivo è la nostra unione con Cristo Dio e uomo, ovvero la riproduzione della vita di Cristo in noi: vita di Cristo che è anzitutto divina ma pure umana; è stata una vita umana perché la vita divina potesse essere comunicata a noi uomini. La mediazione è un mezzo; il fine a cui dobbiamo arrivare è al di là della mediazione: perciò non dobbiamo fissare lo sguardo su chi media per noi ma, attraverso di lui, arrivare a Colui che è rappresentato.

Sguardo realistico

Ora, per evitare di farci suggestionare da speranze poco realistiche di un papa santo, di una nuova fioritura, di una restaurazione generale della Chiesa – cose tutte che è certamente lecito sperare e buono desiderare, ma che in questo momento storico sono poco plausibili –, per evitare appunto di suggestionarci, perdendo così il contatto con la realtà, dobbiamo considerare la situazione attuale in modo spassionato. Da dove dovrebbe spuntare un papa santo? Qual è la condizione del clero di oggi? Sono ormai sessant’anni che la Chiesa sperimenta una profonda trasformazione che coinvolge tutti i suoi aspetti. Si tratta certamente degli aspetti esterni della Chiesa militante, cioè di quella parte della Chiesa che cammina nel mondo presente verso il mondo futuro; questi aspetti esterni sono stati però tutti modificati: non ne è stato lasciato indenne neppure uno. In questa situazione, dunque, dobbiamo prendere atto che ormai da due generazioni i sacerdoti non sono più formati come andrebbero formati.

Due generazioni sono un lasso di tempo notevole, comunque un lasso di tempo sufficiente perché si perda anche la memoria di ciò che si faceva prima. Come può essere descritto il clero attuale in generale, salvo, grazie a Dio, lodevoli eccezioni? In generale si può affermare che il clero di oggi è, per così dire, un prodotto di sintesi: è il risultato di un esperimento di laboratorio. I seminari e le facoltà teologiche sono stati completamente ripensati, ristrutturati e trasformati in modo tale da ottenere questo prodotto, che non è naturale: non è il Sacerdozio della Nuova Alleanza così come Gesù Cristo lo ha istituito nell’Ultima Cena, così come è stato trasmesso dagli Apostoli ai loro successori, così come si è conservato per quasi duemila anni; questo clero ha un modo di pensare, di parlare e di vivere che ha ben poco a che vedere con quelli del clero di un tempo.

Lo ripetiamo: è un discorso generale che non si applica allo stesso modo e nella stessa misura ad ogni singolo sacerdote, dato che la grazia opera sempre in chi ha una coscienza retta; lo spettacolo comune porta però a pensare questo: è una costatazione. Ora, questa situazione del clero, cioè della categoria di persone che ha la responsabilità più importante all’interno della Chiesa, va collocata all’interno di un processo globale che ha trasformato profondamente tutta la religione cattolica. Si tratta di un processo di rilettura antropocentrica: si è deliberatamente voluto spostare il baricentro da Dio all’uomo. È ovvio che questa impostazione antropocentrica comporta inevitabilmente una volontaria falsificazione della religione cattolica: essa ha infatti comportato una serie di rifiuti, consapevoli negli artefici di questa rivoluzione, inconsapevoli negli altri, che hanno subìto una vera e propria manipolazione mentale sistematica.

(1) Il termine preghiera, qui, non esclude i Sacramenti, ma li include quali fondamento della vita spirituale.


(Continua)


sabato 17 maggio 2025


Viva la Chiesa sinodale!

 

 

Il pontificato appena conclusosi è servito, per alcuni, a radicarli nella fede e a consolidare il loro attaccamento alla Chiesa visibile; per altri, a trasformarli in infallibili censori e inappellabili giudici di chiunque nella Chiesa eserciti un ministero, fino al vertice. Per quanto l’evoluzione impressa dal Vaticano II alla compagine terrena della Sposa di Cristo abbia modificato il suo aspetto visibile e indebolito il Magistero ordinario, costringendoci a rimanere vigilanti nei confronti di esso, che deve piuttosto confermarci senza ombre né ambiguità, non siamo da ciò autorizzati a capovolgere l’ordine stabilito dal Fondatore, come invece sembrano fare molti nell’attuale congiuntura storica. Pare anzi che certuni, proprio in ragione di una presunta cattolicità, si sentano investiti del supremo compito di emettere sentenze, a favore o a sfavore, sul nuovo papa Leone XIV.

Tutti per la sinodalità di fatto

Certi siti gestiti da ex-vaticanisti sono diventati una sorta di speaker’s corner dove chiunque voglia può prender la parola e pontificare su qualsiasi argomento ma, di preferenza, sul Vicario di Cristo. Si direbbe che gusti, desideri e opinioni di chi scrive fossero criteri di valutazione assolutamente certi, a prescindere dalle sue competenze; teologi e canonisti possono finalmente gustarsi il meritato riposo, visto che c’è chi li sostituisce egregiamente. Così tutti, volenti o nolenti, si ritrovano a far parte di quella chiesa sinodale auspicata dagli uni, esecrata dagli altri: tutti a discutere con la pretesa di aver voce in capitolo, senza accorgersi di esser probabilmente manovrati da poteri occulti che non hanno a cuore il bene delle anime, ma si servono degli autocostituitisi censori per aumentare la confusione e acuire lo smarrimento di quanti ancora credono (o pensano di credere).

Non soltanto l’ordine ecclesiale appare gravemente compromesso, infatti, ma è in pericolo anche la natura stessa della fede, la quale è assenso dell’intelletto alla verità insegnata da quanti sono insigniti del mandato apostolico; se questi ultimi non contano più nulla nel sentire dei cristiani, la fede si trasforma in un’ideologia che si frantuma in innumerevoli varianti, come nel mondo protestante. È proprio a questo fenomeno che, purtroppo, stiamo assistendo, nonostante esso sia giustificato con una fiera protesta di cattolicità. Tale paradosso è il frutto più velenoso del pontificato bergogliano, a prescindere dalla sua legittimità; le accese controversie che lo riguardano non sono servite se non a dividere e demolire, come confermato dal fatto che uno dei più accesi (e sospetti) sostenitori della sua nullità si smentisce ora platealmente affermando la validità del successore.

Nella ridda di pareri e giudizi basati su conclusioni affrettate, tratte già all’indomani dell’elezione, teniamo a ribadire la necessità di attenerci ai fatti oggettivi. Non c’è dubbio che i discorsi e il modo di presentarsi di Leone XIV siano rassicuranti; tuttavia quanti desiderano evitare di rimanere di nuovo bruciati dopo l’entusiasmo iniziale rimangono prudentemente a guardare in attesa delle prime decisioni pratiche, dalle quali soltanto si potrà dedurre la direzione che il nuovo Papa intende seguire. Del resto, noi ci aspettiamo la salvezza da Gesù Cristo, non da chi Lo rappresenta sulla terra, pur senza nulla togliere all’importanza del secondo; altrimenti ricadiamo nella papolatria rinfacciata ai progressisti nello scorso pontificato. Qualunque cosa il Papa faccia o non faccia, nessuno potrà mai toglierci il Signore, presente, realmente, nell’Eucaristia e, spiritualmente, nell’anima in stato di grazia.

Enigmi irrisolti o indizi eloquenti?

Ora, a prescindere dagli orientamenti dell’associazione e della rete televisiva che hanno attaccato l’allora cardinal Prevost, rimane il fatto che due sacerdoti della diocesi da lui guidata in Perù, accusati di un grave crimine, non siano stati adeguatamente indagati. Non ci è dato sapere se ciò sia dovuto a una deliberata volontà di copertura o, semplicemente, all’impossibilità di intervenire efficacemente in casi del genere, impossibilità causata sia dall’indebolimento dell’autorità dei vescovi in generale, effetto delle “riforme” postconciliari, sia dall’estrema pericolosità di ogni tentativo di colpire la rete, così potente e ramificata, di ecclesiastici corrotti che si proteggono a vicenda. Si fa presto, sulla tastiera, ad accusare di codardia chi rischia non tanto la rimozione, quanto il carcere e la damnatio memoriae a causa di una calunnia attinente allo stesso ambito.

Non essendo in grado di trarre conclusioni in un senso o nell’altro, sospendiamo perciò il giudizio in attesa – lo ripetiamo – di vedere i fatti, senza pregiudiziali di sorta. Non abbiamo, analogamente, la possibilità di verificare certe ipotesi circa un’eventuale pianificazione dell’elezione, circostanza che alcuni elementi sembrano comunque suggerire. Significa sicuramente qualcosa che il Presidente della prima superpotenza mondiale – cosa inaudita e inammissibile – abbia diffuso l’immagine di sé in tenuta pontificia; è come dire: «Il papa lo faccio (cioè lo scelgo) io»; guarda caso, è americano. Fatto altresì singolare, l’anticipazione del nome (come quella ascritta, sul Foglio, ad un’intelligenza bizantina, vale a dire i servizi segreti turchi?), come pure l’attacco sferrato a Prevost, alla vigilia dell’inizio del conclave, da una testata cattolica filosionista.

Vien da pensare che in certi ambienti si fosse già al corrente dell’esito e che si sia cercato, da una parte, di favorirlo, dall’altra, di ostacolarlo. Preso atto della soddisfazione espressa dal rabbino-capo di Roma (casomai fosse necessaria alla legittimazione del Romano Pontefice), è difficile rimuovere l’idea che gli usurai aschenazisti ci abbiano ficcato il proverbiale naso. La cosa non ci interesserebbe tanto, se la prima omelia di Leone XIV, subito dopo la citazione del passaggio tendenzialmente panteistico della Gaudium et spes, non affermasse testualmente che Gesù ci ha «mostrato un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità» (Omelia della Messa con i Cardinali nella Cappella Sistina, 9 Maggio 2025; il corsivo è nostro).

Dato che le parole hanno un peso e un significato, l’avverbio avversativo qui adoperato vuole dire che, mentre il Paradiso è al di là delle possibilità dell’uomo, l’imitazione di Cristo è alla sua portata, senza alcun bisogno – a quanto pare – della grazia santificante. Si potrebbe ipotizzare che tale svista fosse frutto di mera imprecisione (del resto usuale nella confusa “teologia” postconciliare), ma che capiti a un dottore in diritto canonico che a ventidue anni si è laureato in matematica appare piuttosto improbabile, posta l’importanza del discorso e della circostanza. Se Cristo è dunque imitabile da tutti, con o senza Battesimo, ebrei, musulmani, buddisti e quant’altro sono esattamente sul nostro stesso piano, ciò che, volendo, si può evincere dai paragrafi 13 e 16 della Lumen gentium nonché dalla dichiarazione Nostra aetate. Altro che sconfessione del documento di Abu Dhabi…

Conclusione provvisoria

In conclusione, pur non intendendo aggiungerci alla lista di coloro che sentenziano, non riusciamo a placare l’inquietudine provata fin dalla sera dell’8 Maggio scorso: la sensazione è che la rivoluzione stia procedendo indisturbata, benché in modo più fine, discreto e garbato. Dopo lo sfondamento delle linee, è giunto il tempo di consolidare la posizione? Cionondimeno, raccomandiamo ancora intense preghiere per Leone XIV, ben sapendo per fede che Dio può trarre ciò che vuole da chiunque sia permeabile alla grazia. Se poi l’agonia dovesse proseguire (come fan pensare le voci sulle nuove nomine), ogni buon cattolico troverà sempre luce e conforto davanti al tabernacolo, il cui divino Prigioniero sarà sempre con chi Lo ama sinceramente e persevera nel Suo servizio costi quel che costi. Nessuno al mondo può allontanarci da Gesù né privarci della Sua grazia, se noi non vogliamo e non la perdiamo per colpa nostra.

Chi ci separerà dall’amore di Cristo? […] nessuna creatura ci potrà mai separare dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore (cf. Rm 8, 35.39).


sabato 10 maggio 2025


Preghiamo per Leone XIV

 

 

Non è facile esprimere un parere riguardo all’elezione dell’uomo più importante al mondo, dotato di un potere non puramente umano, ma divino, non limitato a un popolo, ma universale. L’operato di ogni persona, inoltre, va osservato attentamente prima che si possa emettere un giudizio su di esso, a maggior ragione se si tratta del Vicario di Cristo. Non siamo di quelli che apprezzano qualcuno nella misura in cui corrisponde ai loro gusti o condivide le stesse idee, né di quelli che si riferiscono al Papa come a un qualunque leader politico; ci sforziamo piuttosto di comprendere se un ministro di Dio parla e agisce in modo conforme a ciò che è soprannaturalmente diventato per intervento del Cielo. Non intendiamo neppure fare l’errore di valutare il Successore di Pietro in rapporto a chi l’ha preceduto, anziché a Gesù Cristo.

Il nostro sguardo deve essere il più possibile oggettivo e tener conto dei fatti, piuttosto che di facili congetture o di fantasiosi collegamenti riguardo al nome e allo stemma. L’americano Robert Francis Prevost, eletto nel pomeriggio di Giovedì 8 Maggio, al quarto scrutinio, non era popolarmente noto prima che Bergoglio lo chiamasse a Roma a dirigere il dicastero che si occupa della scelta dei vescovi; con meno di due anni da cardinale è inopinatamente assurto al Soglio. Che abbia indossato le insegne pontificie e parlato di Cristo è qualcosa di assolutamente normale, salvo forse per chi, nei dodici anni di papato “francescano”, per un paradossale capovolgimento della realtà si è abituato al contrario della normalità oppure non ricorda che il modo in cui si presentò l’uomo venuto dalla fine del mondo fu un’eccezione, la quale non può esser già diventata la regola.

Luci e ombre

Religioso agostiniano di vasta cultura, missionario in Perù, per due mandati generale dell’Ordine, poi vescovo di Chiclayo dal 2014, nel Gennaio del 2023 Prevost è chiamato a Roma a succedere al cardinal Ouellet, ricevendo la berretta rossa nel Settembre successivo; il 6 Febbraio 2025, pochi giorni prima del ricovero, Bergoglio lo eleva ulteriormente conferendogli la titolarità della diocesi suburbicaria di Albano, quasi a voler designare il successore. La circostanza scabrosa di questa fulminea carriera – ahimè – sono due scandali di abusi su minori, scoppiati poco tempo prima, a carico di sacerdoti della sua diocesi che, come al solito, sono rimasti impuniti. Il successore di Prevost a Chiclayo (suo amico e scelto da lui) ha insabbiato tutto, mentre il monsignore che ha patrocinato le vittime è stato perseguitato con estrema severità, fino alla riduzione allo stato laicale.

Questi fatti non lasciano intravedere spiragli di risoluzione dei numerosi casi di abusi ad opera di membri del clero. La rete di complicità e connivenze sembra riuscita ad imporre un candidato che non turbi il sonno dei pedofili in clergyman, a cominciare da quelli incistatisi nella Curia Romana. Le battaglie legali continuano a scontrarsi con un impenetrabile muro di omertà; neppure la diretta interpellanza pubblica del predecessore riguardo ai casi più dolorosi (come quelli di Rupnik e del Preseminario San Pio X) ha potuto smuovere qualcosa, a parte la condanna in extremis, seguita a stretto giro, di un indifendibile pesce piccolo. La sensazione – che speriamo presto smentita dai fatti – è che si sia voluto il mantenimento dello statu quo di immoralità e corruzione: questo è il vero problema della gerarchia, che si trascina da decenni.

Gli orientamenti ideologici dei prelati, su cui si appunta l’attenzione di tutti, non sono affatto la questione decisiva: come osservato negli ultimi pontificati, essi cambiano come gira il vento. Nel 2012 era obbligatorio dichiararsi contrari alla teoria del gender, così come lo è stato raccomandare l’atto d’amore nel 2021. Adesso, per addomesticare i tradizionalisti, ci vuol poco a farsi fotografare in paramenti antichi (peraltro con la croce pettorale nascosta), ma l’indegno trattamento riservato a monsignor Strickland non va dimenticato. A livello psicologico è ben comprensibile, dopo questi anni di tensione, il bisogno di veder tutto rosa, sminuendo o togliendo dal campo visivo gli elementi dissonanti; questo non è però uno sguardo obiettivo, bensì un’espressione della maniera emotiva, tipicamente postmoderna, di porsi nei confronti del reale.

Parole e fatti

La nostra società si lascia incantare dai discorsi, che sono certamente importanti, ma devono esser confermati dai fatti. Per questo bisogna attendere pazientemente e osservare diligentemente azioni e comportamenti. L’allocuzione preparata per la benedizione Urbi et orbi, ad ogni modo, denota una chiara continuità col pontificato precedente, di cui riprende molte parole-chiave, con una particolare enfasi sul tutti, sui ponti e sul camminare. L’iniziale augurio di pace, facendo pensare all’intenzione di riconciliare la Chiesa terrena così frammentata, dà conforto, purché non diventi un’arma con cui giustiziare come nemico della pace chi non accettasse eventuali innovazioni. Anche l’insistenza sulla carità e sulla missione potrebbe risolversi in uno strumento di condanna di quanti non fossero abbastanza inclusivi e accoglienti.

Questa inquietudine, nonostante la sottolineatura della centralità e necessità di Cristo, ribadita nella prima omelia, è piuttosto acuita dal riferimento al paragrafo 22 della Gaudium et spes, uno dei più ambigui testi del Vaticano II, ampiamente sfruttato dai progressisti per supporre un’anonima presenza di Cristo in ogni cultura, in ogni religione e in ogni persona. L’idea che «in Lui Dio, per rendersi vicino e accessibile agli uomini, si è rivelato a noi negli occhi fiduciosi di un bambino, nella mente vivace di un giovane, nei lineamenti maturi di un uomo» sembra ignorare la distinzione tra rivelazione naturale e soprannaturale e aprire al panteismo. Qual è davvero, allora, «il patrimonio che da duemila anni la Chiesa, attraverso la successione apostolica, custodisce, approfondisce e trasmette»? Sono decenni che i termini della tradizione cattolica sono usati con un diverso significato.

Noi siamo vaccinati – in questo caso, sì – rispetto a quelle apparenze rassicuranti che celano una realtà opposta. Dobbiamo renderci conto che buona parte dell’attuale gerarchia non ragiona più col principio di non-contraddizione, in quanto la sua formazione intellettuale l’ha ormai assuefatta alla conciliazione dell’inconciliabile. Il pensiero di Bergoglio era impregnato di gnosi e di cabala giudaica; Prevost ha studiato con un pioniere del dialogo ebraico-cristiano. Il nome da lui scelto fa pensare, come acutamente osservato da una lettrice, a frate Leone, il più intimo amico e stretto collaboratore di san Francesco, ma più colto e smaliziato di lui; tale accostamento induce a pensare a un progetto ben architettato da tempo per continuare le “riforme” incantando però gli avversari e rendendoli inoffensivi con uno stile da popolare serie televisiva.

Consegna immutata

Abbiamo intensamente pregato perché il Signore donasse alla Chiesa un papa degno. Ora che ci ha dato un papa, continuiamo a pregare perché sia un buon papa, a prescindere dalle premesse. Il cattolico sa bene che la grazia richiede la cooperazione degli uomini e che la Provvidenza include nei propri disegni anche le loro suppliche. L’ufficio di Sommo Pontefice comporta una grazia di stato unica, che può profondamente trasformare l’uomo che lo detiene; chiediamo al Signore di togliere dal cuore di Leone XIV gli eventuali impedimenti. Possiamo ancora avere il Papa di cui la Chiesa ha bisogno anziché quello che ci meritiamo, purché non smettiamo di implorare il Cielo con viva fede e con l’umiltà di chi riconosce di non poter nulla da sé, ma tutto con l’aiuto dell’Onnipotente, al quale ognuno di noi, a cominciare dal Suo Vicario, un giorno dovrà rendere conto.


martedì 6 maggio 2025


RACCOMANDAZIONI

AL NUOVO PAPA



Anziché perderci in inutili dibattiti, cerchiamo di capire cosa vuole il Signore da Leone XIV.



Pro eligendo Romano Pontifice

 

 

Se mi amate, osservate i miei comandamenti (Gv 14, 15).

Le parole che il Signore Gesù rivolse agli Apostoli durante l’Ultima Cena ci fanno da guida nella preghiera per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice. La vita della Chiesa è la carità: amare il Signore; amare il Signore, però, significa osservare i Suoi comandamenti, ossia compiere la Sua volontà, volere ciò che vuole Lui. Questa è la condizione per cui noi possiamo essere guidati dallo Spirito Santo. Durante quel discorso Gesù promise l’invio del Paraclito, del Consolatore, di Colui che avrebbe aiutato gli Apostoli a ricordare tutti i Suoi insegnamenti e tutte le Sue azioni, per poi predicare nel Suo nome la conversione e la vita nuova.

Ora, lo Spirito Santo può operare in noi se il nostro cuore è puro e retto; per questo dobbiamo chiedere anzitutto questa grazia per il Conclave sta per iniziare: che i Cardinali siano animati da un’intenzione pura e retta nello scegliere il Successore di Pietro. Il Signore dichiarò agli Apostoli che non Lo avrebbero più visto fisicamente; Egli continua tuttavia ad operare nella Chiesa, non solo mediante lo Spirito Santo, in modo invisibile, ma anche in modo visibile, tramite il Suo Vicario, colui che Lo rappresenta tra di noi. È perciò assolutamente indispensabile che la scelta sia guidata dai suggerimenti dello Spirito Santo e che i Cardinali, sui quali incombe questa responsabilità, siano docili alle Sue ispirazioni.

Ciò che il nuovo Papa dovrà fare – fra gli altri compiti – sarà ripristinare l’ordine, la legalità e la giustizia all’interno della Chiesa. Se amare il Signore consiste nell’osservare i Suoi comandamenti, evidentemente non è possibile servirlo senza ordine, senza legalità e senza giustizia: sarebbe una contraddizione. Si può dire a parole che Lo si ama e Lo si serve, ma se i fatti smentiscono le parole, quelle parole sono vuote, non hanno alcun valore. Ci sono diversi ambiti in cui è assolutamente indispensabile che siano ripristinati l’ordine, la legalità e la giustizia, in modo tale che sia la carità a regolare i rapporti tra i membri della Chiesa, soprattutto tra i membri della gerarchia.

Gli ambiti in cui sembra esserci più urgenza sono quelli del culto divino e del clero. Sappiamo bene che non è lecito limitare la celebrazione della Santa Messa secondo il Messale restaurato da san Pio V, che abbiamo festeggiato in questi giorni, in quanto egli prepose a quel Messale una costituzione apostolica nella quale affermava che da quel momento in poi, per sempre, ogni sacerdote cattolico avrebbe potuto usarlo liberamente, senza alcuna restrizione. Perciò un ambito in cui auspichiamo che sia ripristinata la legalità e la giustizia è anzitutto quello della Messa, poiché è quello più vitale: la Messa è il Sacrificio di Cristo, ciò che fa vivere la Chiesa; è quindi assolutamente indispensabile che la sua celebrazione secondo la forma ricevuta dall’antichità sia di nuovo liberalizzata ovunque.

Abbiamo poi diverse questioni brucianti che riguardano il clero. Non si può rimuovere un vescovo senza processo e senza notificargli la causa per cui è rimosso, così come non si può rimuovere un parroco soltanto perché non si è fatto una puntura. Per rimuovere un vescovo o un parroco ci vuole un processo che accerti che ci sia una causa grave, proporzionata ad una sanzione così seria. Ci auguriamo perciò che il nuovo Papa renda giustizia a tutti quei vescovi e sacerdoti che sono stati trattati ingiustamente e hanno dovuto lasciare il proprio posto senza una ragione adeguata.

Viceversa, è successo che sacerdoti che si sono macchiati di un delitto gravissimo, l’abuso di minori, sono stati graziati come se non avessero fatto niente e non hanno scontato la pena che avrebbero dovuto scontare. Rimane certamente la pena del Purgatorio – quella non la può togliere nessuno – ma è giusto che chi ha commesso un delitto grave sia punito anche sulla terra, sia per non dare scandalo ai fedeli, sia perché ciò sia un deterrente a crimini così odiosi. Anche in questo campo ci auguriamo che sia ripristinata la giustizia e che i colpevoli siano giustamente puniti.

Dobbiamo poi pensare a tutte quelle situazioni che colpiscono anche i fedeli, a quei casi di disgustoso clericalismo per il quale, soltanto per l’arbitrio del sacerdote che celebra, si nega la comunione sulla lingua ai fedeli che sono in stato di grazia e hanno le dovute disposizioni. Anche questo è un abuso grave, poiché la legge della Chiesa stabilisce che la comunione sulla lingua è la forma ordinaria, mentre la comunione sulla mano è una concessione. Ribaltare la situazione è un atto assolutamente inammissibile; bisogna quindi che tutti i fedeli che sono stati ingiustamente feriti in modo così profondo mediante l’esclusione dalla comunione ottengano giustizia e che chi nella Chiesa esercita il ministero sacro si attenga alle norme che la Chiesa stessa ha stabilito, non al proprio capriccio.

Invochiamo san Pio V perché tutte queste intenzioni – e tante altre – siano portate davanti al trono di Dio e il Signore si muova a pietà di noi, chini lo sguardo sulla Sua Sposa che è sulla terra e le conceda un Pastore secondo il Suo cuore.



Invochiamo

il Patrocinio di san Giuseppe

 

 

«Gesù stava iniziando i trent’anni ed era ritenuto figlio di Giuseppe» (Lc 3, 23). La solennità del Patrocinio di san Giuseppe celebra la Sua eccelsa dignità in rapporto alla Chiesa. Egli, in qualità di sposo verginale della Madre di Dio e di padre putativo del Verbo incarnato, fu incaricato di custodire e sostentare, come afferma san Bernardino da Siena, i due principali tesori dell’eterno Padre; Egli continua oggi a svolgere questo compito estendendolo al Corpo Mistico, del quale Cristo è il Capo e Maria, al contempo, la Madre, il membro più nobile e la realizzazione perfetta.

Il conclave che eleggerà il nuovo papa è provvidenzialmente cominciato nel giorno in cui quest’anno, secondo il calendario liturgico di san Pio X, cade questa festa; perciò, dopo aver offerto la novena al Patrono della Chiesa universale, lo affidiamo proprio a Lui, certi che la Sua potentissima intercessione otterrà alla Sposa di Cristo un degno Pastore. Quest’ultimo dovrà affrontare sfide molto ardue, prima fra tutte quella di restituire al Magistero pontificio l’autorità, la dignità e la chiarezza che sono proprie di esso. Non solo i cattolici, ma tutti gli uomini hanno il diritto di trovare nelle parole del Papa una guida sicura e un giudizio inappellabile su qualunque questione di dottrina e di morale.

Tale attività di insegnamento e di governo non può e non deve basarsi sulle preferenze soggettive né sull’orientamento culturale dell’uomo che riveste il munus petrinum, bensì accordarsi con il pensiero e la prassi comuni a tutti i suoi predecessori, in una continuità che, pur ammettendo uno sviluppo omogeneo, escluda qualsiasi contraddizione. Dopo sessant’anni di incertezze e ondeggiamenti, di cui dodici di totale sconquasso dottrinale e operativo, è assolutamente indispensabile che Pietro torni a fungere da roccia stabile, inamovibile, capace di resistere a qualunque pressione, interna o esterna. Questo è ciò che legittimamente ci aspettiamo e chiediamo con fervore a san Giuseppe.

Il Papa, in altre parole, deve spogliarsi di ogni disposizione individuale e assumere quelle che sono intrinsecamente connesse alla sua missione, a cominciare da quelle intellettuali. Il pensiero del Vicario di Cristo non può essere altro che il pensiero di Cristo stesso, il pensiero cattolico, il quale non ha bisogno di aggiornamenti, ma solo di ulteriori applicazioni, perfettamente coerenti con i suoi princìpi, alle nuove questioni che possono sorgere, senza ambiguità né concessioni allo spirito del mondo, che è lo spirito di Satana. Le immutabili verità della fede e della morale cattolica non vanno ripensate né rivisitate per renderle accessibili alla mentalità moderna, bensì presentate con una modalità, ispirata dalla carità, che sappia raggiungere gli uomini di oggi.

Chiunque coltivi una coscienza retta accoglie con semplicità e gratitudine, aiutato dalle interiori mozioni dello Spirito Santo, ciò che la Chiesa proclama da sempre nella sua cristallina chiarezza e attraente luminosità. Soltanto chi respinge la verità e non cerca l’autentico bene trova pretesti per rifiutare la sua predicazione o per accogliere deviazioni dottrinali. Anche tanti sedicenti cattolici, purtroppo, sono nel numero dei miscredenti, confermati da cattivi Pastori che hanno tradito la loro missione cedendo allo spirito del tempo e difendendone gli errori. A tutti costoro non possiamo non rivolgere un accorato appello: se volete evitare l’Inferno, convertitevi una buona volta alla verità di Cristo, trasmessaci nella Scrittura e nella Tradizione!

Risulta evidente, a questo punto, che chi ha un pensiero veramente cattolico non potrà mai trovarsi in reale contrasto col Papa, se anche quest’ultimo pensa, parla e agisce da quello che è; chi invece si sente in disaccordo ha l’obbligo morale di rivedere le proprie posizioni e di conformarle al sacro Magistero. Ne consegue che il nuovo Papa dovrà epurare la gerarchia da tutti quei membri che sono pervicacemente nell’errore e nella disobbedienza, nonché dagli immorali, dagli increduli, dai viziosi e dai sodomiti, distruggendone le illecite consorterie e sventandone le occulte macchinazioni. Tale formidabile compito richiederà notevole avvedutezza ed energia, ma anche tutto il nostro sostegno nella preghiera, come pure l’appoggio e il conforto umano.

Rivolgiamoci dunque con viva fede a san Giuseppe, perché ottenga ai Cardinali e a colui che sarà eletto l’assistenza dello Spirito Santo, il quale, sulle rive del Giordano, discese visibilmente su Gesù, all’inizio della Sua missione (cf. Lc 3, 22), per poi essere da Lui donato, il giorno di Pentecoste, a tutta la Chiesa. San Giuseppe, che sulla terra nutrì per tutti noi il Pane del cielo, che dona la vita eterna, ci conceda ora un Vicario di Lui che, con l’aiuto della grazia di stato, sia all’altezza del proprio compito. Non si deve dubitare – ci assicura ancora san Bernardino da Siena – che Cristo non abbia negato in cielo, anzi abbia portato a perfezione la familiarità, la riverenza e l’altissima dignità che, come un figlio a suo padre, manifestò al Carpentiere di Nazareth durante la vita terrena. «Ricordati dunque di noi, o beato Giuseppe, e intercedi con l’appoggio della tua preghiera presso il tuo Figlio putativo, ma rendici propizia anche la beatissima Vergine, tua Sposa, la quale è Madre di Colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna per gli infiniti secoli dei secoli. Amen» (Sermo I de sancto Ioseph).



Chiediamo a san Giuseppe un papa conforme al mistero della Chiesa

 

 

«Da dove ha costui questa sapienza e il potere dei miracoli? Non è costui il figlio del carpentiere? […] Ed erano scandalizzati riguardo a lui» (Mt 13, 54-55.57). La reazione degli abitanti di Nazareth di fronte ai miracoli e all’insegnamento di Gesù è un’attestazione sia dell’autorità paterna che san Giuseppe esercitò su di Lui, sia dell’infinita eccedenza della Sua identità divina rispetto alla condizione assunta davanti agli uomini. Il Figlio di Dio volle fruire della funzione di un padre e apprenderne la professione, fino ad essere identificato in rapporto al falegname del villaggio; al tempo stesso manifestò la propria potenza soprannaturale per suscitare la fede nel Salvatore.

Questo paradosso si prolunga nella Chiesa, Corpo Mistico di Cristo: essa è composta di uomini e guidata da uomini, consta di strutture terrene e opera con i mezzi di questo mondo; al tempo stesso porta in sé il mistero della Santissima Trinità, che si comunica agli uomini mediante la grazia che la Chiesa dispensa per farli rinascere quali figli di Dio per partecipazione, rendendoli così capaci della vita eterna. Come nella persona di Gesù le due nature sono inseparabili, così lo sono i due aspetti della Chiesa, che sono entrambi necessari e si richiamano a vicenda.

Ora, all’immutabilità di Dio, della Sua parola e della Sua volontà corrisponde l’immutabilità del culto, dell’insegnamento e delle fondamentali strutture di governo della Chiesa. Chi non riconosce questo non ha la fede, ma è dominato da un’ideologia che considera la Chiesa alla stregua di una qualunque organizzazione mondana. Chi auspica l’elezione di un papa che realizzi cambiamenti radicali non è cattolico e, pertanto, non è membro della Chiesa; per questo ha l’obbligo morale o di convertirsi o di andarsene, soprattutto se riveste responsabilità elevate.

San Giuseppe protesse ed educò il Redentore nella Sua umanità, per mezzo della quale Egli avrebbe realizzato, ai fini della nostra salvezza, il sacrificio di Se stesso. Oggi il Carpentiere di Nazareth, Patrono della Chiesa universale, esercita la stessa funzione nei confronti di quella porzione del Corpo Mistico che vive sulla terra, la quale, se da una parte deve incarnare il Vangelo nella realtà presente e nelle diverse culture, dall’altra non deve dimenticare la trascendenza della propria origine e della propria destinazione. Il nuovo Papa dovrà rimettere in evidenza – con i fatti ancor prima che con le parole – che la Chiesa non è un’associazione umanitaria, bensì il Corpo di Cristo.

La Chiesa è la società perfetta che ha Gesù Cristo per Capo invisibile, il quale agisce tra noi e per noi mediante il Suo Vicario, chiamato a servire la Sua Sposa, non a spadroneggiare su di essa; egli ha il compito di conservare e trasmettere inalterato il deposito ricevuto, non quello di inventare nuove dottrine o nuove strutture. La Chiesa è per sua stessa natura gerarchica, poiché solo questo garantisce la fedele trasmissione della verità rivelata e la sicura comunicazione della grazia; essa non può e non potrà mai essere un’assemblea “democratica” in cui tutto possa essere ridiscusso e ridefinito. Chi si estenua nel renderla qualcosa di simile ha già fallito ed è spiritualmente morto.

Quanti, scandalizzandosi di ciò che la Chiesa è per volontà del Fondatore, vorrebbero trasformarla in qualcos’altro si condannano da sé, in questa vita, a un’amara frustrazione e, nell’altra, alla rovina eterna. Essi non fanno ogni cosa nel nome del Signore, come raccomanda san Paolo, né sono legati a noi dal vincolo della carità, che ci unisce in un solo corpo (cf. Col 3, 14-15.17); di conseguenza non hanno pace, ma «sono come il mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque vomitano melma e fango» (Is 57, 20). Il vero cristiano non può non commiserarli, ma al contempo se ne dissocia vigorosamente e li redarguisce con veemenza.

Che san Giuseppe ci comunichi la serena fortezza e la giusta fierezza di chi, pur nella sua debolezza, si sforza sinceramente di seguire il Figlio di  Dio con l’aiuto della Sua grazia, nella certezza che la Sapienza renderà ai giusti la ricompensa delle loro fatiche, dopo averli guidati per una mirabile via (cf. Sap 10, 17). Che la Sapienza medesima ci conceda di operare sempre di cuore per il Signore e non per gli uomini (cf. Col 3, 23), così da testimoniargli un amore incondizionato e disinteressato che attiri altre anime a Lui nell’unità di quel Corpo che è la Chiesa, in attesa di godere con loro della Sua gloria per tutta l’eternità.


sabato 3 maggio 2025


Conclave insidiato

 

 

Odisti omnes qui operantur iniquitatem, perdes omnes qui loquuntur mendacium (Sal 5, 6-7).

«Detesti tutti coloro che operano l’ingiustizia, farai perire tutti coloro che proferiscono menzogna». Il conclave che inizierà il 7 Maggio prossimo per l’elezione del Successore di Pietro si preannuncia non solo molto combattuto tra opposte correnti, ma anche minato da subdole manovre con le quali, a quanto pare, si sta tentando di comprometterne la legittimità. Qualora fosse eletto un candidato non gradito, infatti, i progressisti potrebbero appigliarsi a qualche pretesto per dichiarare nulla l’elezione e pretendere la convocazione di un nuovo conclave. Un’eventualità del genere provocherebbe uno scisma, cioè la peggiore sciagura che la Chiesa possa temere.

Occorre preliminarmente osservare che i temporanei gestori della Santa Sede non meritano alcuna fiducia, vista l’assoluta mancanza di credibilità della comunicazione riguardante l’ultima degenza di Bergoglio e le settimane successive alla sua dimissione dall’ospedale. Non son stati capaci neppure di fornire un’indicazione univoca circa l’ora del suo decesso, avvenuto probabilmente parecchio tempo prima dell’ora dichiarata; la modalità della dichiarazione della sede vacante, poi, è stata a dir poco imbarazzante per un’istituzione millenaria che, in questo tipo di procedure, deve dar prova di inappuntabile serietà e competenza.

Il Vaticano – è ormai chiaro da anni, purtroppo – è in mano a bande di affaristi e pervertiti senza scrupoli che si contendono denaro e potere ma sono a loro volta ricattati, a causa dei loro vizi, da un potere occulto che li manovra in base ai propri fini. Il pontificato dell’uomo prescelto per realizzare tali scopi non ha prodotto, in fin dei conti, i risultati sperati: a parte le macerie morali e dottrinali lasciate in tante anime e un paio di suore illegalmente piazzate in posti di rilievo, non ci sono stati i cambiamenti strutturali auspicati dalla fazione rivoluzionaria (per esempio, l’abolizione del celibato sacerdotale o l’accesso delle donne all’Ordine sacro).

Il caso Becciu

I traditori infiltratisi nella Chiesa devono perciò giocarsi il tutto per tutto, poiché un pontificato più conservatore potrebbe definitivamente affossare i loro progetti. Così si spiega il prolungamento del cammino sinodale, decretato con un papa in bilico tra la vita e la morte, ma che il nuovo pontefice potrà depennare in un attimo; così si capisce pure la storiella delle lettere con cui il malato avrebbe escluso dal conclave un porporato al quale, tuttavia, non ha mai ritirato con atto formale la dignità cardinalizia. Qualunque giudizio si debba portare sui trascorsi di quest’ultimo nella Segreteria di Stato, egli merita comunque un monumento per la spontanea rinuncia ad essere fra gli elettori.

A parte la ridicola pretesa di far comandare un papa defunto, infatti, l’insidia per la legittimità del conclave era davvero pericolosa, ma Becciu ha rotto il giocattolo in mano ai cospiratori. In caso di elezione di persona non grata, se quest’ultimo avesse partecipato si sarebbero appellati al mancato rispetto della volontà del predecessore; se non avesse partecipato, avrebbero contestato l’immotivata assenza di un avente diritto. In un caso come nell’altro, avrebbero avuto un pretesto per dichiarare nulla la votazione ed esigere una nuova elezione, col conseguente rischio di provocare uno scisma come quello d’Occidente, che fece morire di dolore santa Caterina da Siena.

Tale rischio non è tuttavia completamente scongiurato: a Becciu si potrebbe comunque rinfacciare, a papa fatto, di aver rinunciato senza essere impedito, come lo sono invece i due cardinali che saranno assenti per motivi di salute. Un timore del genere non pare infondato, vista la spregiudicatezza con cui lo hanno usato come capro espiatorio accusandolo dinanzi al capo (il quale, narcisista manipolatore qual era, si faceva a sua volta facilmente manipolare) e dichiarandolo reo nel processo-farsa sulla gestione del disastroso affare di Londra. La principale accusatrice di Becciu, dietro le quinte, è una torbida figura di lobbista italo-marocchina inserita da Bergoglio nella commissione di riforma delle finanze vaticane (!), poi espulsa e condannata per divulgazione di documenti riservati…

Il caso Viganò

Non cessa di addolorare la condotta di un vescovo scomunicato che dà segni di aver perso il senno e i cui interventi son regolarmente rilanciati da quello che un tempo era un bravo giornalista cattolico ma, a forza di dar credito a quello, sembra a sua volta obnubilato. Un esperto di diritto canonico che per tutta la vita ha lavorato per la Santa Sede dovrebbe sapere perfettamente di non avere la facoltà di stabilire se un papa è legittimo o no; tale compito spetta in via esclusiva al collegio cardinalizio. Egli non ha pertanto la minima autorità per dichiarare Bergoglio usurpatore del Soglio; tutto il suo ragionamento, di conseguenza, cade miseramente nel nulla.

Di fatto, almeno materialmente, colui che si diede il nome di Francesco ha detenuto ed esercitato per dodici anni la suprema potestas, tant’è vero che tutti gli hanno obbedito e ogni sua decisione è stata puntualmente eseguita. Anche la creazione di cardinali è valida; qualora egli non fosse davvero stato papa, essa sarebbe comunque stata implicitamente ratificata da Benedetto XVI, il quale, finché fu in vita, li accolse tutti nella sua residenza. Eventuali irregolarità procedurali, poi, vengono sanate dall’universale accettazione dell’eletto, a meno che non siano immediatamente contestate durante il conclave stesso, non a cose fatte, come avvenne per Urbano VI.

Il sovrannumero, se costituisce un problema, va segnalato adesso, nelle congregazioni preparatorie, prima che inizino le votazioni. Con quale criterio, però, si dovrebbero escludere tredici cardinali? Vogliamo istruire processi per eresia durante la sede vacante? oppure li bruciamo in Campo de’ Fiori senza dibattimento? Certo, ci sarebbe un bel da fare e ci vorrebbe un mucchio di legna… metodo più rapido, direttamente in Tiberim, a cominciare dai tedeschi. Chi è realista, tuttavia, comprende che l’importante è permettere alla Chiesa di riprendere il prima possibile la sua vita normale, non accampare motivi fantasiosi per impedirglielo.

La vera urgenza

Alla fine vien da domandarsi: a chi giovano queste sparate? Alla Sposa di Cristo o ai suoi nemici? Che vantaggio c’è a farsi strumentalizzare da loro per accrescere l’incertezza e perpetuare questa situazione di instabilità? Nel nome di Dio, smettetela di picconare le istituzioni fondamentali della Chiesa con l’intenzione di difenderla! Questa è l’ora in cui è imperativo ricucire gli strappi e riunire i dispersi, non quella di fomentare ulteriori divisioni insinuando il sospetto che il conclave non sia valido. Se ci sarà uno scisma, la responsabilità dovrà ricadere interamente sui traditori, non su quelli che hanno a cuore il trionfo del bene e la diffusione del Regno di Dio.

Anziché perdere tempo a leggere e divulgare sciocchezze, mettetevi a pregare intensamente perché la Provvidenza ci conceda un buon papa, senza comunque illudervi che possa ripristinare la legalità con un colpo di bacchetta magica. Ci vorranno una grande sapienza e molta energia per ripulire la Curia Romana dal marciume; ci vorranno decenni perché la Chiesa militante si risani a cascata, a partire dal vertice, di grado in grado. Lasciate perdere le “profezie” fantastiche e rimanete coi piedi per terra, se non volete mettere a repentaglio la vostra fede con altre delusioni. Usate la ragione e non l’immaginazione eccitata dalla rabbia repressa.

Non è religioso vedere tutto nero e predire solo ineluttabili catastrofi: è un peccato contro la fede e la speranza, ossia uno dei peccati più gravi. Il vero cristiano coopera con la Provvidenza mediante la preghiera e il sacrificio, piuttosto che profondersi in piagnistei sui mali presenti, considerati senza sguardo soprannaturale. Ci sono sedicenti cattolici che si istigano a vicenda al pessimismo, quasi godessero a trovare ragioni per deprimersi; è un disturbo psicologico serio. Noi non siamo di quelli e, di conseguenza, ci spelliamo le ginocchia davanti al Santissimo con il rosario in mano, certi che l’Onnipotente ascolta sempre chi Lo invoca con fede sincera, sicura speranza e carità fattiva.